sabato 17 dicembre 2011

E' ora che alcune verità rimosse sui palestinesi siano riportate alla luce. Costantino Pistilli

Il candidato repubblicano Newt Gingrich in un’intervista con Jewish Channel ha dichiarato: “I palestinesi non esistono e il processo di pace in Medio Oriente è un’illusione. Dobbiamo ricordarci che non è mai esistito uno Stato di Palestina perché all’origine la Palestina era parte dell’Impero Ottomano. Credo anche che i palestinesi siano stati inventati perché in effetti erano parte della grande comunità araba”. Dal partito democratico statunitense fino a Ramallah la dichiarazione di Gingich ha provocato irruenti proteste. Lo scrittore israeliano Abraham Yehoshua lo sospetta addirittura “di ignoranza storica e di superficialità politica”. Neanche la replica del suo portavoce, R.C. Hammond, è servita a calmare gli animi: “Gingrich si riferiva al fatto che questo conflitto è frutto di decenni di storia. Noi sosteniamo una pace negoziata fra Israele e palestinesi che includerà necessariamente i confini di uno Stato palestinese, ma per comprendere meglio cosa viene proposto e negoziato dobbiamo conoscere una Storia lunga e complessa, ed è proprio questo che Gingrich tentava di fare nell’intervista televisiva”. Quelle di Gingrich, però, sono altro che rozze farneticazioni. Il concetto di nazionalità etnica come base dell'identità politica era tipicamente europeo. Un concetto difficile da declinare in arabo. La sua nascita risale alla fine del XVIII e agli inizi del XIX secolo, e si collega alla Rivoluzione francese, alle guerre napoleoniche e al romanticismo. Nel caso della nazione palestinese, a supporto della tesi di Gingrich, arriva la spiegazione del professor Bernard Lewis, uno dei massimi studiosi del Levante e professore emerito di Studi sul Vicino Oriente alla Princeton University. “Dalla fine dello Stato di Israele nell'antichità all'inizio del dominio britannico, l'area ora designata con il nome Palestina non era una nazione e non aveva frontiere, solo confini amministrativi” scrive Lewis in un articolo pubblicato sull’americano Commentary Magazine nel gennaio del 1975.

In Palestine: On the History and Geography of a Name, editato all’International History Reviw, spiega invece come “ Migliaia di anni prima che i Romani inventassero la Palestina, la terra era conosciuta come Canaan. Il nome Falastin che gli arabi oggi usano per Palestina non è un nome arabo. È la pronuncia araba di ciò che i Greco-Romani chiamavano Palestina derivato da Peleshet: nome che iniziò ad essere usato nel tredicesimo secolo A.C., a causa di un movimento migratorio di genti chiamate "gente del mare", provenienti dall'area del Mare Egeo e delle Isole Greche e si insediarono sulla costa del Sud della terra di Canaan. Nel primo secolo D.C. i Romani annientarono lo stato indipendente della Giudea. Dopo la rivolta fallita di Bar Kokhba nel Secondo Secolo D.C., l'Imperatore Romano Adriano determinò di spazzare via l'identità di Israele-Giuda-Giudea. Perciò egli prese il nome Palestina e lo impose alla Terra di Israele. Nello stesso tempo egli cambiò il nome di Gerusalemme in Aelia Capitolina”. Mentre il mondo prova a bocciare Gingrich in Storia, il vice ministro degli esteri israeliano Danny Ayalon ha diffuso su YouTube un filmato di cinque minuti intitolato La verità sulla questione dei profughi - terzo video dopo quello sulla Cisgiordania e Il processo di pace - in cui spiega in parole semplici alcuni dei più complessi nodi del conflitto israelo-arabo-palestinese. Nel video Ayalon chiede chi sono i profughi, del perché dopo più di sessant’anni è ancora una questione aperta, come è incominciata la tragica e obliata storia di più di 850.000 ebrei delle antiche comunità ebraiche cacciati dalla conquista islamica nei Paesi arabi. Al contrario, continua il vice di Lieberman, 160.000 arabi accettarono l’offerta di Israele di restare ed oggi vi sono più di un milione di cittadini arabo-israeliani che vivono in Israele con pieni diritti di cittadinanza.

Uno status invece negato dai vicini arabi che ai profughi palestinesi riservano una serie di leggi discriminatorie: divieto di ottenere la cittadinanza (ad eccezione della Giordania), impossibilità di accedere a molte professioni, limitazioni al possesso di terreni, restrizioni di movimento, diniego di istruzione e assistenza sanitaria. Un’altra stoccata viene scagliata contro l’Onu: “Mentre tutti i profughi del mondo vengono assistiti dall’Alto Commissariato Onu per i Rifugiati (UNHCR), un’agenzia separata, l’UNRWA, venne creata specificamente per i palestinesi. Come mai i profughi palestinesi non possono condividere la stessa agenzia con i profughi di Bosnia, del Congo o del Darfur, tanto per citarne alcuni?”. La risposta secondo il vice ministro israeliano è: “Mentre l’agenzia centrale delle Nazioni Unite aiuta i profughi a reinserirsi, l’agenzia Onu per i profughi palestinesi contribuisce a perpetuare il loro status, applicando criteri atipici. Ad esempio, i profughi perdono il loro status di profugo quando ricevono la cittadinanza di un paese riconosciuto, i profughi palestinesi no; i profughi non possono trasmettere il loro status da una generazione all’altra, i profughi palestinesi sì; i profughi vengono incoraggiati a reinserirsi in altri paesi o ad integrarsi nei paesi che li ospitano, cosa che l’UNRWA evita di fare. Le Nazioni Unite spendono per ogni singolo profugo palestinese circa tre volte più di quanto spendono per un profugo non palestinese, e impiegano uno staff oltre trenta volte più numeroso. Insomma, per tutto il XX secolo le Nazioni Unite hanno trovato soluzioni durevoli per decine di milioni di profughi, mentre l’agenzia per i profughi palestinesi non ha trovato soluzione per un solo profugo”. (l'Occidentale)

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