giovedì 23 febbraio 2012

Un rischio Saviano lo corre. Annalisa Chirico

Certe cose non vanno neppure pensate, figuratevi se vanno scritte. Accade che Giorgio Magliocca, sindaco di Pignataro Maggiore – perché, per sua sventura, il prode ha scelto di impegnarsi in politica in una provincia come quella casertana -, divenga il boss in pectore, il collegamento tra il clan camorristico locale e la politica, naturalmente in salsa Pdl. Un poliziotto, tale Di Lauro, che nello stesso paese si è candidato sotto le insegne comuniste, guida le indagini.

Nel giro di pochi mesi Magliocca diventa l’uomo nero, gli vengono inflitti undici mesi di carcerazione preventiva. Dietro le sbarre da presunto innocente, anzi da innocente. Alla fine infatti il giudice assolve Magliocca perché il fatto non sussiste. Il castello accusatorio viene giù pezzo dopo pezzo e quell’uomo torna in libertà, ma la vita che lo attende fuori non è più la sua. Il tornado giudiziario travolge tutto, la carriera è stroncata e la reputazione infangata. Sì, come sempre accade in questi casi, la “macchina del fango” non risparmia niente e nessuno, anzi precede di gran lunga il processo in aula.

In cima alla lista degli “infangatori” compare, quantomeno per caratura internazionale, il romanziere Roberto Saviano. Il quale romanziere agisce “in buona fede”, come scrive egli stesso nella lettera indirizzata al “gentile avvocato Magliocca” nel 2009, quando di fronte alla querela per diffamazione e alle testimonianze degli investigatori (che smentiscono la sua ricostruzione) l’icona antimafia si prende la briga (o la premura) di mettere nero su bianco le sue personali scuse per quell’articolo pubblicato nel 2003 sul settimanale “Diario”; un articolo nel quale con la sicumera di chi adopera il terzo occhio Saviano accusa il sindaco dei reati che a Magliocca sono costati l’ingiusta detenzione e per i quali egli è stato, per l’appunto, assolto.

Nello scusarsi Saviano ricorda che il qui pro quo è avvenuto perché stretto dai “tempi imposti dalle esigenze editoriali” e dall’ “impossibilità di accedere ad altre fonti” il romanziere non ha avuto il tempo di verificare la veridicità delle cose riferitegli. Il tempo, come si dice, è tiranno.

Ora, noi non osiamo neppure immaginare che le uniche fonti di Saviano, dell’esimio Saviano, siano pentiti in odore di benefici e pm alla ricerca di notorietà, ce ne guardiamo bene. Anche queste sono cose che non vanno neppure pensate, figuratevi se scritte. Fatto sta che anche nel caso Magliocca la “macchina del fango” ha funzionato alla perfezione.

Poiché crediamo alla buona fede di Saviano, un consiglio ci permettiamo di darlo. A forza di sparare sentenze preventive su persone indagate o inquisite, a forza di imbastire processi paralleli o addirittura anticipatori rispetto a sospette iniziative giudiziarie, a forza di salire sul podio dei giusti per mazzolare gli improbi in attesa di giudizio, un rischio, caro Saviano, lo corri. C’è da temere che nel giro di qualche anno, giustizia italiana permettendo, di lettere di scuse ti toccherà scriverne più di una. Poi magari no, d’ora in avanti ci azzeccherai sempre, e noi ce lo auguriamo per davvero. Per te e ancor di più per chi ti capita a tiro. Con rispetto parlando, s’intende. (the FrontPage)

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