venerdì 11 maggio 2012

Gambizzato e isolato. Davide Giacalone

Più passano le ore, e oramai i giorni, più fa impressione il vuoto istituzionale, politico e culturale creatosi attorno a Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo Nucleare, gambizzato lunedì mattina. Sembra che il delinquente sia la vittima, o, quanto meno, che una volta prese adeguate informazioni queste suggeriscano l’opportunità di non esporsi. Eppure, nel gennaio scorso, quando due cittadini cinesi, Zhou Zenge e la figlia Joy, furono ammazzati, a Roma, il presidente della Repubblica si precipitò in ospedale per visitare la moglie e madre delle vittime, portare la solidarietà degli italiani e assicurare che le autorità competenti avrebbero fatto di tutto per assicurare alla giustizia i colpevoli. Lo fece sebbene il commerciante cinese fosse stato rapinato di una notevole somma di denaro, frutto della raccolta che faceva quotidianamente, presso i colleghi, i quali non versavano i guadagni in banca, ma a lui. Quindi non è che fosse poi tutto così limpido, ma ciò non toglie che era stato ammazzato e che il presidente volle testimoniare l’assenza, in Italia, di odiosa xenofobia. Giustissimo, bravo. Ora, però, non vorrei si fosse razzisti contro gli italiani.

Al Quirinale s’è celebrata anche la giornata dedicata alle vittime del terrorismo, ma a nessuno è venuto in mente che ce n’è una ancora con la gamba fracassata da una pallottola, sicché, forse, si poteva celebrarla a Genova, quella giornata o, comunque, dire da Roma che ci si sentiva tutti gambizzati. Una parola, un gesto, un pensiero. Nulla.

Napolitano sta alla larga, ma in quell’ospedale non si sono visti membri del governo o capi partito. Nessuno. E siccome tutto questo è pazzesco, abbiamo il dovere di chiedercene il perché. Dato che le risposte possono essere diverse, ma nessuna bella, desidero prima di tutto manifestare la mia personale solidarietà a chi è stato vilmente colpito, esprimendo anche la speranza che sia arrestato non solo il gruppo di fuoco, ma tutta intera l’organizzazione di cui fa parte, che siano condannati e che nessuno li scarceri perché magari si diranno pentiti, come spero che esista, da qualche parte, un’intercettazione telefonica dedicata alla prevenzione del terrorismo, oltre alle quintalate impiegate per scandagliare il pericolosissimo meretricio.

E veniamo agli errori di Adinolfi. Primo: si è fatto sparare da gente che suscita gli entusiasmi sbagliati. Avesse avuto cura di farsi gambizzare da quelli che prendono gli applausi fra le svastiche e le croci celtiche, oggi potrebbe contare su una corale solidarietà, invece l’ambientino che festeggia è quello del terrorismo comunista che, come si sa, non può e non deve esistere, e se si firma in quel modo vuol dire che è “sedicente”, o frutto delle macchinazione dei “servizi deviati”. Non so chi abbia sparato, ma so che la rete frizza di comunisti assassini e compagni d’assassini, che parteggiano per gli sparatori. Indagando seriamente si potrebbe individuarli e arrestarli tutti. Secondo errore: lavorare per Finmeccanica. Non sta bene, il nome di quell’azienda deve essere accoppiato a due concetti: armi e tangenti. E che vuole, la solidarietà? Terzo errore, aggravante del secondo: per giunta dirige un’azienda impegnata nel nucleare. Che sarebbe la dimostrazione della nostra eccellenza tecnologica, nonostante il masochismo che ci tiene fuori dal nucleare civile, ma, invece, lascia lo spazio a sospetti: lavora quasi solo all’estero, si muove nei paesi dell’est, ha commesse milionarie, chissà che ha combinato. Insomma, non si arriva a dire che hanno fatto bene a sparargli, ma ci manca un pelo.

Gli uomini dello Stato italiano, conoscendo bene sé stessi, si vergognano dello Stato italiano, e delle sue aziende. Quindi corrono a solidarizzare con le vittime cinesi, ma risparmiano sul telegramma ad un italiano, sospettando che, un giorno, potrebbe essere loro rimproverato. Come quando non si seppe vedere il sorgere del terrorismo, negli anni settanta del secolo scorso. Sono fatti di pasta tremula, che s’irrigidisce solo nell’arroganza di voler conservare il posto. Sul Colle più alto si regolino come credono, ma avrei un consiglio per il trio schiaffeggiato nelle urne, Alfano, Bersani e Casini: partano da Roma in ginocchio e si rechino a Genova, chiedendo scusa per il ritardo. Lo facciano per rispetto di sé stessi. Se poi si dimostrerà che il colpevole è lo sparato, anziché lo sparatore, si ricordino che in quelle aziende le nomine le fa la politica, cioè loro.

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