lunedì 17 settembre 2012

Note sulla Costituzione - IX - Lavoro e sindacati. Gianni Pardo

  
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L’art. 37 comincia con lo stabilire che, a parità di lavoro, la donna deve essere retribuita come l’uomo. Cosa giustissima. Ma non era già stata detta con l’art. 3? A quanto pare i costituenti non avevano grande stima della nostra memoria.
Più interessante è il capoverso: «Le condizioni di lavoro devono consentire l'adempimento della sua essenziale funzione familiare e assicurare alla madre e al bambino una speciale adeguata protezione». Anche questa è una norma giustissima, ma soltanto se ci si mette d’accordo sul destinatario di essa. Se infatti la legge richiede che l’imprenditore, per esempio, permetta alla donna di rimanere a casa perché deve allattare, e nel frattempo lo obbliga a retribuirla come se lavorasse, il risultato sarà che chiunque cercherà di non assumere le donne che potrebbero avere figli.
Qualcuno a questo punto griderà alla discriminazione. Con ragione. Infatti è discriminato il datore di lavoro: se è vero che la funzione della donna-madre è a favore dell’intera collettività, non si vede perché poi il peso economico di quella funzione debba ricadere sul cittadino colpevole soltanto di avere offerto un’occasione di guadagno a quella donna.
Le speciali compensazioni per le donne, a parziale compenso dei loro sacrifici, devono essere a spese dello Stato. Diversamente lo speciale “vantaggio” che si voleva assicurare, si tradurrà in concreto in uno svantaggio chiamato disoccupazione.
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I sindacati, di cui parla l’art. 39, sono trattati dalla Costituzione con particolare amorevolezza. Dopo avere stabilito che la loro organizzazione è libera (e perché non dovrebbe esserlo?) stabilisce che ad essi «non può essere imposto altro obbligo se non la loro registrazione presso uffici locali o centrali, secondo le norme di legge». Di fatto, per quanto ne sappiamo, essi hanno approfittato di questa speciale posizione al di sopra delle leggi per non depositare bilanci, non pagare tasse, a volte perfino per violare i diritti sindacali dei loro dipendenti. Sarebbe stato necessario essere più precisi. Forse bastava scrivere «non può essere imposto altro obbligo, per la loro costituzione, se non la registrazione...” L’attuale, vaga formulazione va infatti oltre il ragionevole.
Inoltre – ma su questo punto si sarebbe lieti di lasciare la parola ai competenti – leggiamo: “Possono, rappresentati unitariamente in proporzione dei loro iscritti, stipulare contratti collettivi di lavoro con efficacia obbligatoria per tutti gli appartenenti alle categorie alle quali il contratto si riferisce». Che significa “unitariamente”? Se si costituisse un sindacato nazista gli sarebbe consentito di essere incluso in quella “unità”? Da decenni ci rintronano le orecchie con le imprese della Trimurti, Cgil, Cisl e Uil: e gli altri dove sono? Non sono unitari? Hanno o non hanno voce in capitolo, se pure in proporzione al numero dei loro iscritti di categoria?
E poi, quella “efficacia obbligatoria” come mai si estende ai lavoratori non iscritti a nessun sindacato? Sembra – ma, si ripete, si sarebbe lieti di saperne di più dai competenti – che i sindacati debbano essere del tutto liberi, anche dagli obblighi di legge, mentre i lavoratori non sono liberi di stipulare direttamente – a gruppi o singolarmente – i contratti che sembrano loro convenienti. Il contratto collettivo, alle condizioni determinate esclusivamente dall’accordo fra datori di lavoro e rappresentanti dei sindacati ufficiali, rischia di essere in conflitto con la libertà.
Tutto ciò è quanto meno strano. Non si poteva scrivere che i sindacati possono stipulare «contratti collettivi dei cui vantaggi tutti i lavoratori, anche non iscritti ai sindacati, devono essere liberi di approfittare»? Con ciò stesso escludendo sia l’automatica estensione a tutti del contratto, sia l’automatica imposizione, al singolo, degli eventuali svantaggi, e perfino vantaggi, di quel contratto.
Ma ci si riserva di correggere questa pagina sulla base di ciò che sapranno dire i lettori più informati della materia. (il Legno storto)

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