giovedì 31 gennaio 2013

Corte incostituzionale. Davide Giacalone

La Corte costituzionale continua a schiaffeggiare la Costituzione. Quel che più colpisce non è la sfrontatezza di tale malcostume, ma il silenzio che lo circonda. Coscienze e cattedre tacciono, pur essendo evidente e perdurante lo sfregio. Adesso, però, c’è una coincidenza e s’approssima una novità, talché nel nostro piccolo club, dove la Costituzione la si legge, più che idolatrarla a vanvera, corre qualche sorriso e s’avvia qualche ammiccamento.

Franco Gallo, appena nominato presidente della Corte, non è il primo Gallo che si trova in quel posto. Il suo predecessore omonimo (Ettore Gallo), però, aveva un record che, successivamente, è stato polverizzato: fu il primo a scadere lo stesso anno della nomina, il 1991. Ora, non solo il professor Franco scadrà anch’egli nell’anno della nomina, ma ci sono state annate generose, nel frattempo, nel corso delle quali si ebbero anche quattro presidenti. Il che, sia detto con il dovuto rispetto, è totalmente incostituzionale.

Leggiamo l’articolo 135 della Costituzione, quinto comma: “La Corte elegge tra i suoi componenti (…) il presidente, che rimane in carica per un triennio, ed è rieleggibile (…)”. Non c’è scritto che rimane in carica “un massimo di” o “fino a” tre anni, ma che presiede per un triennio, rinnovabile. Quindi si deve eleggere chi ha quel tempo a disposizione. E così è stato, fino alla seconda metà degli anni ottanta. Poi s’avviò il disfacimento. In chiusura di secolo è partito il malcostume di mandare in pensione il più alto numero possibile di giudici costituzionali con il titolo di presidente emerito (30.000 euro al mese, macchina e autisti a vita, diritto d’insegnare dove vogliono, cui si aggiunge la macabra soddisfazione di una via intitolata alla memoria, nella capitale). Grazie al positivo prolungarsi della vita, c’è una gara di numerosità fra presidenti emeriti e giudici costituzionali in carica.

Il criterio dell’anzianità di servizio è incostituzionale (oltre tutto non si “eleggono”, ma nominano, violando spirito, lettera e tutto), ma è anche rivelatore di una misera decadenza. Da anni, ogni volta che tale scempio si ripete, mi son preso il solitario compito di denunciarlo. L’unico che ebbe l’ardire di rispondere fu Giovanni Maria Flick: è vero, scrisse, la Carta prevede tre anni, ma la prassi è diversa. La prassi? Ma allora smettiamola di pagare il costo del sinedrio, se anche quello si regola affidandosi alla prassi! Il che, poi, non è neanche vero. Questi signori credono che si sia tutti ignoranti, invece c’è anche qualche matto che studia. Si deve sapere che nel testo originario della Costituzione, entrato in vigore il primo gennaio 1948, c’era scritto solo: “La Corte elegge il presidente fra i suoi membri”. Quell’articolo fu modificato con una legge costituzionale del 22 novembre 1967, introducendo la durata di tre anni e la possibile rieleggibilità, salva la scadenza del mandato. Tradotto: il presidente dura tre anni, può essere rieletto, ma, in questo caso, non prolunga la durata del suo mandato di giudice (originariamente di dodici anni, poi portati a nove). Sfido chiunque a sostenere il contrario. Con o senza cattedra.

Di Gallo in Gallo, dunque, della Carta si fecero coriandoli. E proprio a cura di chi dovrebbe presidiarla. Ma ora si presenta un ostacolo. Francesco, già ministro del governo Ciampi e da questi nominato giudice costituzionale, scadrà fra sette mesi. Poi dovrebbe (orridamente) andare il più vicino alla pensione, solo che sono in due: Luigi Mazzella e Gaetano Silvestri, che giurarono entrambe il 28 giugno 2005. Come si fa? Si nominano due presidenti, in modo da avere due emeriti al posto di uno? Non ridete e non scherzate, perché li hanno appena nominati vicepresidenti, equiparando la funzione e senza che la Costituzione faccia cenno alcuno a tali cariche e alla loro inesistente funzione. Esattamente come i detersivi: due al posto di uno. A settembre tireranno a sorte, se non avrà già provveduto la sorte. Comunque saranno degli emeriti. Siamo estasiati. Anche un filino schifati.

Pubblicato da Il Tempo

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