venerdì 29 marzo 2013

Patibolo cipriota. Davide Giacalone

E’ sciocco e pericoloso sostenere che Cipro è un caso eccezionale, talché quello che si vuole capiti lì non accadrà poi altrove. E’ vero il contrario: quel che succede in una banca dell’eurozona può ed è destinato a ripetersi in ogni altra sua parte. Quindi la proposta di esproprio, operato sui conti correnti, deve essere fermata. Ove non lo si faccia si metterà in moto il meccanismo che può portare alla demolizione del sistema bancario in Europa (non scrivo “europeo” perché, purtroppo, non esiste).

Si dovrebbe fare attenzione al detto: è per il principio, non per i soldi. E’ violando i principi che l’area economica più ricca del mondo, l’Unione europea, riesce a bruciare quattrini. I principi hanno un valore economico. Violarli ha un costo. Abbiamo cominciato a sbagliare con la Grecia e non ci siamo più fermati. La cosa grottesca è che il Pollicino che ha segnato la via è quella Germania che pretendeva d’essere l’incarnazione stessa della coerenza e dei principi, mentre, al contrario, li ha sbriciolati.

Cipro è l’ultimo laboratorio della follia autolesionista, sicché usiamola per vedere alcuni principi massacrati. Primo: i soldi depositati in una banca dell’Unione monetaria non sono più garantiti. Altro che segreto bancario o tassi d’interesse, qui s’è stabilito che se una banca fallisce a pagare devono essere i correntisti. Dal che può discendere una sola cosa: la fuga dei capitali verso altre aree del mondo o in istituti tedeschi (o nelle cassette di sicurezza, che da noi crescono). Il bello è che l’insulsa idea di rapinare i conti sopra i 100mila euro era stata valutata per come doveva essere letta: il ripiegamento fallimentare rispetto al delirio di rapinarli tutti. I mercati l’avevano presa a ridere. Fin quando un olandese delirante, presidente dell’eurogruppo, Jerone Dijsselbloem, ha preteso di teorizzare e generalizzare la trovata. Apriti baratro.

Secondo principio violato: leggo per ogni dove che i capitali russi depositati a Cipro sarebbero soldi sporchi, quindi da poter taglieggiare senza pietà. Qui di sporco c’è la coscienza ipocrita di chi prima ammette Cipro nell’Uem, sapendo benissimo che si crea un offshore interno all’area dell’euro, e poi, quando le cose vanno male, pretende di rivalersi su capitali che sono entrati rispettando le regole e credendo alla parola e alle leggi di uno Stato e di un’area monetaria. Per simili voltafaccia la storia prevede il peggio. Se i capitali sono sporchi procede la giustizia, non il fisco. Terzo principio violato: nel momento in cui si stabilisce che i titoli del debito di uno Stato sovrano (in questo caso la Grecia), componente l’Uem, possono non essere onorati ne deriva che l’intera Uem è disonorata. Da quel punto in poi i birilli cascano in successione, e solo a patto d’essere di legno l’ultimo della fila ride del fatto che la boccia ha colpito chi gli sta davanti. Con l’aggravante che le banche tedesche e francesi si liberarono dei titoli greci, avendo notizie insider (che nei mercati è reato) sui tempi dello sganciamento, con ciò danneggiando la Grecia, mentre i ciprioti hanno lasciato in portafoglio quei titoli (anche perché l’isola è divisa e dall’altra parte ci sono i turchi), che la Banca centrale europea dovrebbe considerare senza rischio, con ciò aggravando il proprio fallimento. Quarta violazione dei principi: a Cipro vengono poste condizioni impossibili, il Parlamento le rigetta e la troika li rimodula rinunciando ad avere soldi ma pretendendo di far valere l’impostazione iniziale (taglieggiamento conti), vale a dire l’esatto contrario di un sano pragmatismo, nonché l’umiliazione della sovranità democratica.

Non serve continuare ad enumerare per chiarire che il venir meno ai principi del diritto e della credibilità sta distruggendo l’Uem, e con essa l’Ue. E non è assolutamente vero, come sostengono i tedeschi, che si tratta, invece, di richiamare ciascuno ai trattati sottoscritti, perché quando li violò la Germania l’arbitro, corrotto dalla e con la forza, fece finta di non vedere. L’Europa costruita attorno all’economia e alla moneta dimostra uno spaventoso deficit di diritto, politica e credibilità. Perde soldi perché perde principi.

Quando noi, da europeisti, avvertivamo sulle debolezze strutturali dell’euro sembrava bestemmiassimo. Ora è un fondo del Corriere della Sera, scritto da Giovanni Sartori, a ipotizzare la fine dell’euro e il ritorno al serpente monetario. La storia non inverte la freccia del tempo, semmai si deve dotare l’euro di quel che il serpente aveva: sistemi basculanti di compensazione interna e regole per l’uscita. Tutto quel che è rigido, a questo mondo, prima o dopo si spezza.
Pubblicato da Libero

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