lunedì 29 aprile 2013

Estetica governativa. Davide Giacalone

Non si giudica la formazione di un governo usando i canonici dell’estetica, ma della politica. Si può continuare a parlare di giovani e di donne, come se si trattasse del galateo circa il posizionamento dei commensali a tavola, così come ci si può trastullare nel vuoto del cambiamento e del rinnovamento, ma poi le chiacchiere stanno a zero e la sostanza prevale. Siamo immersi in un’area monetaria che si ostina a penalizzare i nostri interessi, abbiamo la sola forza delle piccole e medie aziende che esportano e continuiamo a svantaggiarle con il credito che manca, abbiamo contribuenti cui continuiamo a raccontare la favola degli sgravi avviandoli, però, verso due portentosi aumenti di pressione fiscale. Cosucce da affrontare, ma che vengono posposte al grande gioco del piccolo governante.

Il governo Letta è politico, o non è. Il Partito democratico ha fatto di tutto per evitare che vi prendessero parte uomini di peso. Un nome per tutti: Massimo D’Alema. Il ragionamento è: il governo non ci piace; Enrico Letta andava bene a fare il vice segretario senza poteri, non certo il capo del governo; l’alleanza con Berlusconi ci ripugna; quindi teniamo fuori le bandiere e spartiamoci le poltrone fra la terza e la quarta fila. Perché, lo si tenga presente, gli intransigenti de sinistra sono attivissimi nel tentativo di piazzarsi. Tale ragionamento non va considerato sull’inutilissimo piano moralistico, ma considerando il suo clamoroso errore politico: se accedi a una alleanza scomoda hai interesse che duri e porti a casa dei risultati, così la spieghi e giustifichi, se, invece, disprezzi e compri (o ti fai comprare), va a finire che il governo dipende dall’odiato alleato, cade in fretta e la sinistra ne ricava tutti i danni possibili.

E’ dal 25 febbraio scorso che per tentare di evitare una rottura la sinistra si sta tritando. E il futuro immediato non promette nulla di buono. Ve lo immaginate uno schema in cui Letta siede a Palazzo Chigi e Matteo Renzi prende la guida del partito? Roba da fare una colletta per tutelare i comunisti dall’estinzione. Avevano tutto loro, quelli del vecchio gruppo dirigente del Pci, che è sempre stato il medesimo, con il solo ritiro dei defunti. Per causa di forza maggiore, comunque, altrimenti sarebbero ancora lì. Avevano tutto e non sono stati capaci di niente. La nascita del governo Letta è all’insegna di ciò. Se ne può essere felici? No, perché questo porterà il Pd a rompersi, nel senso di dare forma a quel che è già evidente, e risposterà la fu sinistra democristiana a coprire il ruolo d’estremismo etico. Una corsa al delirio che porta alla caduta del governo.

Mi chiedono: suvvia, ma anche a destra ci saranno divisioni e problemi, no? Accipicchia! In un anno furono capaci di deglutire ed espellere una vittoria elettorale irripetibile. Certo che ne hanno. Ma hanno anche due cose: a. un capo politico, che solo i gonzi credono sia un padrone; b. un generosissimo avversario politico, che lungi dal profittare dai guai di un’area in crisi di leadership futura si producono in eroismi circensi pur di dire: ci sono prima io, sono io quello più in crisi, sono io che non ho un leader, io quello che ha diritto di schiantarsi per primo. In tale situazione, non è difficile capire perché Silvio Berlusconi non lasci passare giorno senza ripetere: andiamo avanti, è un lavoro promettente.

Sarebbe anche divertente, se non fosse che costa e ha stufato. Letta avrebbe dovuto prendere l’incarico e presentarsi con la lista dei ministri il giorno dopo. Avrebbe avuto gli stessi problemi e i medesimi avversari, ma assai più forza. Non avrebbe dovuto fare intervenire nuovamente Giorgio Napolitano, che da lord protettore si trasforma in tutore del minore. Poi, per carità, possiamo anche metterci a contare quante donne e quanti giovani ci si trova. Ecco, se può essere utile, fornisco un parametro: fra i disoccupati sono dominanti.
Pubblicato da Libero

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