giovedì 23 maggio 2013

Quando Berlusconi non ci sarà più. Gianni Pardo

In Italia il contrasto fra destra e sinistra è tanto acre che Angelo Panebianco ha potuto parlare di “guerra civile fredda”. Da vent’anni questa guerra si combatte riguardo a Silvio Berlusconi ma le sue radici sono ben più profonde. Il Cavaliere è stato importante perché ha ripetutamente azzerato le speranze di vittoria della sinistra ed è normale che ognuno odi ciò che gli impedisce la realizzazione dei propri desideri. Ma, assente quell’uomo, la guerra civile finirà? Il pessimismo sembra più ragionevole della speranza.

Il contrasto fra destra e sinistra in Italia non è fra due programmi politici ma tra due visioni della realtà. Un po’ come avviene fra pigri e attivi, fra freddi e appassionati, fra giovani e vecchi. I gruppi rivali non riescono a capacitarsi dei gusti e delle idee della controparte e addirittura finiscono col considerarla imbecille o in mala fede. Il discrimine non è fra diverse concezioni politologiche ma tra accettazione della realtà e anelito ideale. I partigiani della sinistra sono i paladini del bene. Sono per l’uguaglianza, per la pace, per la conservazione dell’ambiente, per l’accoglienza degli stranieri, per il perdono di chi sbaglia, per la riduzione dell’orario di lavoro, per l’aumento della paga a chi ha retribuzioni inadeguate, per il soccorso ai malati, ai disoccupati, agli ultimi. La necessità di conseguire ad ogni costo questi risultati è tanto grande che ci si può disinteressare dei mezzi indispensabili per ottenerli. Chi rischia la vita nell’incendio non dà certo indicazioni tecniche: chiede soltanto di essere salvato. E del resto Marx ha detto: “Da ciascuno secondo le sue possibilità, a ciascuno secondo i suoi bisogni”.

L’attenzione si è dunque spostata, per la sinistra, dal dovere al diritto, dal merito al bisogno, dalla punizione al premio. Ad esempio, per millenni si è accettato che la scuola fosse noiosa e faticosa e si è pure accettato che chi non imparava fosse un asino e andasse bocciato. Poi ci si è detti che, se la scuola fosse più interessante di un gioco, se il docente sapesse far appassionare gli alunni alla materia, questi non avrebbero più bisogno di studiare. Forse non chiamerebbero più l’apprendimento “studio” (che significa sforzo) ma divertimento. Insomma se un alunno non sa ed è bocciato, la colpa non è sua, ma dei suoi professori. I primi ad esserne convinti sono i genitori. E la scuola va come va.

Se metà della nazione ha questa mentalità, non può certo mettersi d’accordo con la metà che segue principi del tutto diversi: ognuno deve avere ciò che merita, nel bene come nel male; chi non studia deve essere bocciato; il problema non è la distribuzione della ricchezza ma la sua produzione; il denaro non cade dal cielo ed appartiene a chi l’ha guadagnato; “ogni volta che qualcuno ottiene un’utilità che non ha prodotto c’è qualcuno che non ottiene un’utilità che ha prodotto”. Il benestante può fare la carità ma è assurdo che lo si guardi come un ladro e lo si voglia depredare. Insomma lo Stato deve imporre poche tasse e lasciare che ognuno provveda a sé stesso. Può costringere i cittadini ad assicurarsi contro la responsabilità civile automobilistica e contro l’infermità e la vecchiaia, ma non deve occuparsi di tutto, con costi rovinosi e mantenendo un esercito di burocrati pressoché nullafacenti: gente per la quale, mentre lo stipendio è un diritto indefettibile, si può mandare un amico a timbrare il cartellino.

È chiaro che queste due metà della nazione non potranno mai scendere a patti. Dalla caduta del fascismo il Paese è stato in mano agli idealisti, i quali prima hanno tolto qualcosa a chi aveva per darla a chi non aveva (indipendentemente da meriti e demeriti), poi hanno scoperto che potevano dare senza togliere, cioè facendo debiti, e hanno fatto un buco corrispondente al 130% del pil. Infine Prodi ha “portato l’Italia in Europa”, e con l’euro da un lato essa non può contrarre nuovi debiti, dall’altro deve pagare circa settanta miliardi l’anno per interessi. E assolutamente non sa come uscire dalla recessione.

Forse bisognerebbe che una buona parte dei sognatori – tutta l’intellighenzia del Paese, i giornali, le università, la Chiesa, i sindacati, la Scuola – si convertisse alla mentalità prosaica dei bottegai. Orrore, avete detto dei berlusconiani? Meglio tenersi la recessione. E forse l’Apocalisse.
(LSBlog)

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