giovedì 18 luglio 2013

Il caso kazako, il governo, i magistrati e l'articolo 19. Christian Rocca

Subito una doppia premessa: a nessuno frega niente dei dissidenti kazaki e dei diritti umani violati dal satrapo di Astana, nonostante il grottesco atteggiamento di alcuni giornaloni trasformatisi in organi dell’opposizione kazaka; l’unica cosa che interessa è Alfano, quindi Berlusconi, quindi l’alleanza contro natura Pd-Pdl, quindi i famosi nonché comici spiragli di un "governo del cambiamento" Sel-QuelcherestadelPD-M5S.

La polizia, e quindi il governo, dice che non sapeva che la donna fosse la moglie di un dissidente. Lo scrive il capo della Polizia Pansa nella relazione (a pagina 8). Ma un resoconto dell’Ansa del 31 maggio, poche ore dopo l’espulsione, racconta che i legali della donna avevano invece detto sia ai funzionari di polizia sia ai magistrati che si trattava della moglie di un dissidente e che certamente non avrebbero dovuto consegnarle al Kazakstan, dove avrebbero potuto essere trattate in modo disumano. Sappiamo, inoltre, che ne era al corrente la procura di Roma (era sufficiente, ha notato Luca Sofri sul Post, fare una ricerca su google per scoprire che il marito della donna kazaka non era, diciamo così, amato dal regime kazako).
Basta soltanto questo episodio a stabilire che c’è stata una violazione di legge da parte dei funzionari del Viminale, e la violazione non è stata fermata da magistrati che avrebbero dovuto applicarla, la legge.
Leggete cosa dice l’articolo 19 del Testo Unico sull’immigrazione, quello che regolamenta (e in alcuni casi vieta) le procedure di espulsione degli stranieri:

Articolo 19
Divieti di espulsione e di respingimento.
(Legge 6 marzo 1998, n. 40, art. 17)
1. In nessun caso può disporsi l’espulsione o il respingimento verso uno Stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di razza, di sesso, di lingua, di cittadinanza, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o sociali, ovvero possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.


Rileggiamo: «In nessun caso può disporsi l’espulsione verso uno stato in cui lo straniero possa essere oggetto di persecuzione per motivi di… opinioni politiche». Se i legali della donna, come dicono e come è ovvio, hanno fatto notare lo status del marito, l’espulsione non andava fatta e basta. Era illegale.
Certo c’è la responsabilità politica, in questo caso oggettiva, perché Alfano e Bonino e Letta dicono di non averne saputo niente se non a cose fatte, ma c’è soprattutto quella più diretta, lampante, giuridica dei funzionari del Viminale e poi dei magistrati che avrebbero dovuto garantire la legalità del processo. Che poi, un mese dopo e a scandalo sui giornali, un tribunale abbia ribaltato la sentenza non cambia le cose.
Io ovviamente non so se Alfano o Bonino o Letta sapessero che cosa stava succedendo. Loro dicono di no e al momento non ci sono elementi che li possano smentire (la prova contro Alfano per ora non c’è, anche se l’aver dirottato l’ambasciatore kazako che gli aveva chiesto un incontro sul suo capo di gabinetto invece che sulla Farnesina non depone a favore della sua prontezza di riflessi). Mi pare però bizzarro che gli alti funzionari del Viminale abbiano preso direttive da un diplomatico straniero senza curarsi di coinvolgere i vertici politici del governo o la Farnesina.
Sono stati così sciatti da non capire la portata di un possibile caso internazionale? Non hanno fatto nemmeno una ricerca su internet per capire chi stavano arrestando?
Se è così, e loro dicono sia così, sono loro quelli che si devono dimettere, tutti. Altro che «abbiamo fiducia nelle forze dell’ordine». No, non ne abbiamo per niente se alla prima richiesta di un diplomatico straniero (e che straniero), certo supportata da un mandato di cattura internazionale, si mettono a disposizione usi a obbedir tacendo come se fossero un corpo dello stato kazako. Certo, il loro operato è stato legittimato dai magistrati, ma siamo di nuovo lì: i magistrati si sono girati dall’altra parte. Nessuno, ovviamente, parla dei magistrati. Non è antiberlusconiamente corretto.

Diciamo che sono tutti responsabili del patatrac. Il governo Letta perché è avvenuto tutto a sua insaputa, e i governi che non sanno che non controllano i corpi dello Stato significa che non governano. I funzionari del Viminale che, al minimo, hanno agito in modo superficiale. I magistrati che non hanno fatto applicare la legge. Chiedere le dimissioni del solo Alfano vuol dire esattamente insabbiare il caso che, in mancanza di altri riscontri, mi pare di incompetenza, sciatteria e superficialità. Un ritratto dell’Italia, insomma.
Ma del caso in questione, appunto, non importa niente a nessuno. Importa solo colpire Alfano, quindi Berlusconi, quindi l’alleanza di governo. Pare ci siano spiragli.
PS Post corretto per attenuare la responsabilità dei magistrati. Errore mio, sorry. (Camillo blog)

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