martedì 23 luglio 2013

L'onore di Mori e Obinu è l'onore dell'Italia. Giovanni Alvaro

Il bravo Gian Marco Chiocci riferendosi alla vergogna del processo svoltosi a Palermo, contro due alti ufficiali dei Carabinieri, quali il generale Mario Mori e il colonnello Mauro Obinu, ha chiuso la propria riflessione scrivendo che quanto emerso nel processo, che ha portato alla piena assoluzione dei due servitori dello Stato, spinge a domandarsi, ricorrendo alla colorita ma efficace parlata siciliana: “ma in chi minchia di paisi campamu?” (Ma in che vergogna di Pese viviamo).

Chiocci, praticamente, dà voce ad un sentire popolare che considera, in larghissima maggioranza, la giustizia italiana poco consona ad uno stato di diritto, una giustizia che soffre di malattia inguaribile aggravata da metastasi diffuse e, senza volerlo, diffonde un pessimismo pericoloso. Certo questo è il comune sentire di una opinione pubblica che giornalmente è testimone di casi, sempre più diffusi, di malagiustizia, di cittadini condannati con processi indiziari e di altri che in attesa di giudizio marciscono nelle patrie galere. Non serve a sconfiggere detto pessimismo neanche lo sfogo di Mario Mori che ha espresso la propria soddisfazione per l’assoluzione con un “c’è un giudice a Palermo”, parafrasando il famoso mugnaio tedesco che cercava giustizia a Berlino dove albergava la sua speranza dato che là, secondo lui, non poteva non esserci un giudice libero da condizionamenti insormontabili e pregiudizi inaccettabili. Ma neanche la sua assoluzione serve vuoi perché una noce nel sacco non fa rumore, ma anche perché gli inquirenti non molleranno la loro preda. Mollarla significa contribuire allo sgonfiamento della “trattativa Stato-Mafia” che, sempre più, sembra la fotocopia del famoso buco dell’ozono del quale non parla più nessuno.

Sulla trattativa vivono intere generazioni di antimafiosi che usano il loro status per carriere politiche, e schiere di ‘agende rosse’ alle quali piace essere palesemente strumentalizzate, così come sul ‘buco dell’ozono’ hanno vissuto legioni di ambientalisti e sul ‘surriscaldamento del pianeta’ vivono ancora, malgrado il massimo guru Al Gore si sia ‘ricreduto’ senza però riconsegnare il premio Nobel ricevuto. E infatti il pm Nino Di Matteo ha già annunciato che “è una sentenza che non condividiamo in nessuna parte e che sicuramente impugneremo” e lo fa senza la cautela espressa dal suo collega Teresi che sostiene essere importante conoscere le motivazioni che hanno spinto il Tribunale ad assolvere i due militari e a dare un terribile colpo ai signori dell’antimafia da convegno. Due motivi possono essere intuiti e sono la palese inattendibilità dell’oracolo pataccaro Massimo Ciancimino e del colonnello Riccio le cui posizioni dovranno essere valutate dalla Procura con le conseguenti decisioni in merito alle eventuali richieste di rinvio a giudizio per calunnia; il secondo motivo è la testimonianza del carabiniere Antonio Damiano che sbugiardò il carabiniere Riccio che aveva mentito su particolari importanti e delicati. Riccio infatti non era stato dove aveva giurato di essere stato ed aveva falsificato (come il pataccaro Ciancimino) la relazione di servizio: Provenzano non poteva essere arrestato perché non era dove Riccio giurava che fosse. Intanto godiamoci questo momento di verità stringendoci attorno ai CC Mori e Obinu a cui è stato restituito l’onore perché il loro onore è l’onore dell’intera nazione che non merita una giustizia così ingiusta e fortemente piegata a interessi di parte.

il Calcestruzzo

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