lunedì 29 luglio 2013

Silvio rimembri ancor chi ti fregò lo "Zibaldone". Massimiliano Parente

Arriva la traduzione in inglese dell'opera di Leopardi. È stata finanziata da Berlusconi con 100mila euro, ma tutti si dimenticano di dirlo. Del resto, il poeta non è un'olgettina...


Ha ragione Pietro Citati, scrivendo, ieri sul Corriere della Sera, che «mancava alla cultura di ogni paese una figura essenziale: Leopardi». Mancava soprattutto lo Zibaldone in lingua inglese, un'opera fondamentale del pensiero occidentale che adesso, dopo cinque anni di duro lavoro, esce finalmente negli Stati Uniti e in Inghilterra.
Citati i nomi di chi ha reso possibile un simile progetto li cita uno per uno: il professor Franco D'Intino, Michel Caesar, il Centro Studi Leopardiani, il ministero degli Esteri, l'editore americano Farrar, Straus and Giroux. Che insieme sono una massa di ipocriti, salvo Citati, forse solo disinformato, perché la vera storia è un'altra, talmente emblematica del malcostume italiano che Leopardi l'avrebbe citata come modello negativo nel suo discorso sui costumi degli italiani.
Ve la racconto io, anche perché c'entro in prima persona. A maggio 2007 fui contattato proprio dal professor Franco D'Intino, stava portando avanti la traduzione dello Zibaldone e aveva bisogno di soldi. Gli chiesi quanti soldi, rispose centomila euro. Non glieli dava né il ministero degli Esteri, né il Centro Studi Leopardiani, e quest'ultimo anzi, aveva pressoché bloccato tutto il lavoro. Non glieli dava neppure la Farrar, Straus and Giroux, anzi Jonathan Galassi pretendeva non solo che fosse pagata la traduzione ma perfino le spese di stampa. Stavano andando avanti con le collette online, spiccioli. A quest'ora sarebbero ancora a pagina dieci.
All'epoca facevo solo lo scrittore, e non scrivevo in esclusiva su nessun giornale, però mi venne un'idea e la proposi a D'Intino: perché non facciamo una campagna per chiedere a un imprenditore, un De Benedetti, un Montezemolo, un Armani, di finanziare proprio questa colossale impresa di prestigio culturale internazionale? Girai l'idea all'Espresso, dal quale proprio in quei giorni avevo ricevuto una proposta di collaborazione. Ma dopo settimane di riunioni risposero no, per Daniela Hamaui non era «abbastanza pop», testuali parole. D'Intino sempre più depresso, io gli dissi di non perdere le speranze, qualcosa mi sarei inventato.
Quindi provai con Libero, diretto da Vittorio Feltri, parlandone con il capocultura Alessandro Gnocchi, e mi dettero subito carta bianca: fai quanti pezzi vuoi, è una cosa troppo importante, se vuoi andiamo avanti anche per un mese. Alla faccia della destra ignorante, pensai. Tra parentesi nacque in quel momento la mia collaborazione in esclusiva con Libero e poi con il Giornale, con la stessa carta bianca.
Non fu una campagna lunga, durò appena un appello, in cui esposi la situazione. Non passarono due giorni e con mia grande sorpresa mi telefonò Gianni Letta, e non da Palazzo Chigi bensì da Recanati, dove era andato per verificare il progetto. Mi informò che Silvio Berlusconi era intenzionato a finanziare la traduzione dello Zibaldone, senza se e senza ma. «Quanti soldi servono?». «Centomila euro». «Bene». Trascorsero altri tre giorni e Letta mi richiamò, chiedendomi su quale conto dovesse far pervenire il bonifico di Berlusconi, e al contempo D'Intino mi pregò di non mandare il denaro al Centro Studi Recanati, sarebbe finito chissà dove. Detti quindi a Letta il numero di conto del Leopardi Centre, raccomandandomi di tenere fuori il Centro Studi di Recanati, e dopo una settimana arrivò il bonifico di Silvio Berlusconi a D'Intino, i centomila euro richiesti.
Tutto l'italico, vomitevole schifo ha inizio da quel momento. Neppure il tempo di festeggiare e D'Intino mi telefonò in lacrime: il Centro Studi Recanati, e perfino l'Università La Sapienza, lo stavano isolando perché aveva accettato i soldi di Berlusconi. Obiettai che era assurdo, ma lui continuava a frignare, la sua carriera rischiava di finire. Addirittura? Allora, a malincuore per Leopardi, gli consigliai di non prenderli. Invece i soldi se li tenne, e l'équipe si mise al lavoro. Tuttavia il nome di Berlusconi continuò a non comparire nel sito del Leopardi Centre, neppure a distanza di anni, solo una vaga dicitura: finanziamenti privati. Richiamai D'Intino per avere spiegazioni. Per mio principio, Berlusconi aveva finanziato a fondo perduto e senza nessuna richiesta o clausola, gli bastava andassero avanti. La risposta di D'Intino fu surreale: avevano perso la password. Sebbene il sito continuasse a essere aggiornato.
Ora finalmente esce lo Zibaldone, e salta fuori che proprio chi ha ostacolato l'impresa se ne prende il merito e viene citato da Citati. Il sottoscritto, tra l'altro, non è stato neppure informato della pubblicazione, immagino neppure Berlusconi. Non essendo Giacomo un'olgettina non interessa a nessuno, non sarà abbastanza pop. Anzi, le olgettine sono un modello etico di gratitudine e lealtà in un'Italia di ingrati approfittatori. Di certo se Leopardi fosse vivo sputerebbe in faccia a tutti.

Nessun commento: