martedì 27 agosto 2013

Democrazia arrestata. Davide Giacalone


Può la magistratura emettere provvedimenti che abbiano l’effetto di modificare i risultati elettorali e impedire a chi è stato eletto di adempiere ai propri doveri e far valere i propri diritti? No, non sto parlando della solita persona, del caso di cui tutti discettano. Di questo si occupano in pochini e la grande politica lo snobba. Sbagliando, di molto. Perché per chi ha a cuore le sorti dell’altro caso, quello arcinoto e arcidibattuto, sarebbe saggio indicare che la faccenda non è limitata e le degenerazioni assai pericolose. Per chi, all’opposto, antipatizza verso il celeberrimo condannato, ma non ha perso la testa e non sbava latrando, sarebbe utile dimostrare sensibilità laddove a finire in ceppi è la democrazia. E’ il caso di Luigi Villani: consigliere regionale in Emilia Romagna e, in assenza di alcuna sentenza, senza che mai si sia visto un processo, su richiesta della procura e con l’avallo del giudice per l’indagine preliminare, ha perso il diritto di onorare i doveri che ha contratto con gli elettori. Follia, allo stato puro. Si tratta di un consigliere del Pdl. Se stessimo ragionando fra persone civili la cosa sarebbe del tutto irrilevante: potrebbe essere del Pd, grillino o dipietrista, non cambierebbe niente. Ma nell’Italia faziosa vale solo la divisione per bande. Lo dico da sbandato.

Si tratta di un cittadino che la Costituzione ci obbliga a considerare innocente. Ma se dovesse dimostrarsi colpevole anche questo è irrilevante, perché ciò seguirebbe un (si spera regolare) processo, mentre qui la pena lo precede. Ora spalanchiamo la finestra sull’orrore.

Indagando su casi di peculato la procura chiede e ottiene provvedimenti di custodia cautelare. Già su questo ci sarebbe, e non poco, da ridire: il codice prevede tale misura, estrema e devastante, per reati che comportino rischi collettivi, mica per ogni cosa (c’è scritto, non è una mia fantasia), e in quanto all’inquinamento delle prove e alla fuga ci devono essere pericoli concreti, non la mera ipotesi (di per sé sempre presente, quindi insignificante). Ma le leggi sono declamazioni inutili, se chi le applica se la suona e se la canta. La prassi della custodia cautelare ha devastato diritto, diritti e civiltà. Oltre che troppe vite. Comunque: il consigliere non è accusato di peculato, bensì di concorso (detta facile: avrebbe raccomandato una persona), e va agli arresti domiciliari.

In quel momento l’Assemblea regionale, applicando la legge, provvede alla sua sospensione, che durerà fin quando durerà la misura cautelare. Del resto, stando agli arresti è difficile che prenda parte all’Assemblea. Lo tengono privo di libertà per cinque mesi, ottenendo meno di nulla, perché quello continua a dichiararsi innocente del reato contestato, ma colpevole non di una, bensì di numerose raccomandazioni. Che, però, non sono reato. Dopo cinque mesate gli arresti cadono, quindi potrebbe tornare a fare il consigliere. Invece no, perché la procura chiede e ottiene, aprite le orecchie, che all’indagato sia interdetto l’ingresso nella città di Bologna, dove il Consiglio regionale ha sede. Non deve andarci, perché se ci mette piede “consolida” i suoi legami e le sue amicizie politiche.

E qui fermiamoci un attimo. Il ragionamento della misura cautelare presuppone una delle due possibilità: a. la politica è per definizione un’associazione a delinquere; b. la giustizia è in mano agli eversori. Nel primo caso è finita la democrazia, nel secondo lo stato di diritto. Essendo opzionale la richiesta delle misure cautelari, sicché a certuni si applicano e ad altri no, non è escluso che siano finiti entrambe.

Ecco, questo è il caso di un eletto cui non una sentenza, non un processo, ma una mera misura cautelare impedisce di fare il consigliere regionale. Il problema, però, non è lui (è un chirurgo e ha già fatto richiesta di tornare a fare il suo mestiere), non i suoi diritti, ma i diritti di noi tutti. L’offesa è arrecata non alla sua persona, ma alla collettività. Chi di questo non si dice scandalizzato, pur conservando il diritto di non condividere neanche una delle cose che quel signore pensa, dice o fa, è già democraticamente morto. A me è sfuggito cosa, sul tema, hanno detto i capipartito di questa maggioranza, come anche dell’opposizione. Non i parlamentari locali (che pure tacciono), ma i capi. Solitamente loquaci oltre i limiti della logorrea. Chiariscano subito, oggi stesso, cosa pensano di questo caso, possibilmente senza biascicare minchionerie del tipo “la giustizia faccia il suo corso”, perché qui se ne vede l’opposto, vale a dire il sopruso. Parlino, così, almeno, da quel che diranno e da quel che non diranno, ciascuno capirà di che pasta son fatti.

Pubblicato da Libero

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