sabato 31 agosto 2013

Senatori a morte. Davide Giacalone


Non m’indigna che i quattro nuovi senatori a vita siano riconducibili all’area della sinistra. Non so neanche se sia vero, visto che tutti loro si sono distinti per meriti che nulla hanno a che vedere con la politica, o anche solo con il dibattito pubblico e la vita collettiva. In ogni caso non è rilevante, perché la storia della seconda Repubblica (quella della prima è un’altra storia) dimostra, come nel caso del governo Prodi, che o sono utili alla sinistra o sono inutili. Essere utili alla sinistra non è né un male, né un disvalore, ma è un dato politico di cui solo gli ipocriti possono non tenere conto.

Non m’indigna che ne siano stati nominati quattro in un colpo solo. Assumendo così il solo significato che i meritevoli, in Italia, possono essere tutto, tranne che persone politicamente impegnate. Il che poi, forse, ha pure un fondamento. Fino alla presidenza di Sandro Pertini la regola era: cinque senatori a vita nel Senato. Pertini innovò: cinque senatori a vita per ciascun presidente. Amen.

Non m’indigna che Giorgio Napolitano non abbia voluto nominare, prima delle elezioni anticipate, o subito dopo la sua rielezione, Silvio Berlusconi e Romano Prodi, vale a dire i due soli vincitori elettorali della seconda Repubblica. Entrambe, poi, incapaci di tradurre quelle vittorie in effettiva attività di governo. Sarebbe stato un modo per chiudere un capitolo della nostra storia e prevenire problemi che era facilissimo prevedere che sarebbero arrivati. Non m’indigna perché queste sono scelte che ricadono nella esclusiva potestà (ma non responsabilità, perché la Costituzione non fa eccezioni, e il Colle è irresponsabile) del presidente della Repubblica. Ha valutato diversamente. Amen.

Né, infine, m’indigna che il seggio di senatore a vita sia oramai diventato una specie di cavalierato lautamente retribuito, perché, in effetti, da molto tempo quelle nomine hanno perso il senso e il valore che i Costituenti immaginavano. Anziché animarsi per questa o quella nomina ritengo che, quando un giorno si metterà finalmente mano alla profonda riscrittura della Costituzione, quel genere di nomine vada semplicemente e risolutivamente cancellato.

M’indigna, invece, la nomina di Claudio Abbado. Lo dico con franchezza e rispetto. Si tratta di un grande direttore d’orchestra (preferisco Riccardo Muti, ma questi son gusti, benché temo che nella scelta quirinalizia abbia pesato poco la musica e molto l’intonazione culturale). Si tratta anche di un cittadino italiano che ha manifestato ammirazione e condivisione per la feroce dittatura cubana, nemica delle libertà individuali, politiche, culturali e artistiche. E non vedo come possa essere compatibile la presenza in Senato (non frutto di elezione, perché in quel caso anche i sostenitori d’ideologie dispotiche, e ce ne sono, a destra come a sinistra, hanno comunque dovuto accettare il sistema democratico e il libero voto popolare), per meriti repubblicani, di chi ha in così poco conto la libertà. E la libertà viene prima di ogni altra cosa, anche della convenienza e della prudenza, che suggerirebbero di non scrivere queste cose.

Nel mio cuore c’è Reinaldo Arenas. Grande poeta e scrittore cubano. Discriminato e avviato al gelido lager tropicale perché uomo libero e omosessuale. Fuggito, approdato negli Stati Uniti, un giorno si trovò a un ricevimento, con banchetto: uno dei presenti, con il piatto in mano, magnificava il castrismo, sicché Arenas gli tolse il piatto e lo scaraventò contro al muro: faccia la fame e taccia, come noi cubani. La sua autobiografia s’intitola: “Prima che faccia notte”. Racconta che era costretto a scrivere nascosto su un albero, prima del buio. Se le sue pagine finivano nelle mani degli squadristi castristi venivano distrutte. Con questa nomina s’è fatta notte. In Italia.

Pubblicato da Il Tempo

Nessun commento: