martedì 20 agosto 2013

Severino law. Davide Giacalone

Abbiamo un problema di giustizia, che latita, ritarda, si nega. Abbiamo un problema di magistratura, afflitta da corporativismo e divismo, autoreferente e irresponsabile. Ma abbiamo anche un problema di leggi, scritte male, votate senza neanche leggerle, compitate per la gran parte da burocrazie ministeriali a loro volta affollate di magistrati. Prendete la legge Severino, che disciplina la decadenza di un parlamentare condannato, quella su cui può infrangersi il governo: neanche hanno finito di votarla che s’apre il festival delle interpretazioni, non escludendo la possibilità che sia incostituzionale o contraria alla Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo. Ma quando quella legge (madre) era in discussione, quando il governo Monti sollecitò il voto della propria maggioranza sulle norme intitolate all’anticorruzione, noi qui scrivemmo che erano sbagliate, contraddittorie e pericolose. Sostenemmo che nella loro applicazione sarebbero sorti problemi irrisolvibili. Parole al vento. Sicché una prima cosa vorrei dirla ai parlamentari che oggi inorridiscono: abbiate orrore della vostra superficialità. Fate tesoro della vostra incapacità, anche perché vi apprestate a votare altre norme demenziali e controproducenti, con la stessa giuliva faciloneria che vi portò a votare la legge che ora v’accorgete essere abominevole.

Detto questo, ribadito che prima di votare potrebbero leggere, sottolineato che se non capiscono quel che leggono potrebbero anche andare via, per decoro proprio e collettivo, veniamo al merito della faccenda. Ebbene: supporre che un parlamentare, che in questo caso è anche un capo politico, possa essere destinato alla detenzione, sebbene domiciliare, quale esito di una sentenza penale, ma possa, al tempo stesso, restare parlamentare, in questo modo supponendo di potere continuare la propria attività, è troppo idiota per essere oggetto di discussione. Che, infatti, è del tutto diverso: dopo avere votato la soppressione dell’autorizzazione a procedere, dopo che il “Parlamento degli inquisiti” (epoca manipulitista) consegnò sé stesso al potere delle toghe, dopo che nell’era successiva nessuno ebbe il coraggio di ripristinare una guarentigia presente in tutte le democrazie del mondo civile, ora si accorgono che avendo votato una legge che comporta la decadenza l’odierno parlamentare non solo va a scontare la pena, ma può essere oggetto di custodia cautelare. Tante volte quante volte piacerà ai pubblici ministeri e ai loro colleghi giudici delle indagini preliminari. Ecco il problema.

Pensare di risolvere quello di Silvio Berlusconi facendo una battaglia contro la sua decadenza è curioso assai. Se il centro destra tacesse, sul punto, lascerebbe nei guai gli alleati (e già, alleati sono). Invece s’agitano, senza costrutto. In ogni caso il problema che va sollevato è quello del mostruoso abuso che in Italia si fa della custodia cautelare. Ma, anche qui, con che faccia lo denunciano quelli che votano norme per cui è obbligatorio l’arresto degli stupratori, salvo il fatto che magari stupratori non sono, ma glielo diciamo con comodo, dopo averli sbattuti in galera? Con che faccia fanno i paladini del diritto quelli che votano norme per cui se A picchia B è più grave che se B picchia A, ove la differenza è il sesso? Questi forcaioli della domenica si scoprono garantisti al lunedì. E se me la prendo più con i parlamentari del centro destra che con quelli del centro sinistra è solo perché i primi sbagliano per inammissibile confusione mentale, mentre i secondi per profondissimi immoralità e cinismo.

Ergo: fate quel che credete per metterci una pezza, tanto non funzionerà (l’unica sarebbe la commutazione della pena), ma imparate a ragionare come se stesse legiferando per tutti, e non solo per gli amici vostri: va rivoluzionata la custodia cautelare, riportando la magistratura al rispetto della legge. Perché è la magistratura, in tale campo, a violare continuamente la legge.

Poi ponete il problema generale delle pene accessorie e dell’eleggibilità. L’interdizione dai pubblici uffici deve essere divieto d’accesso agli incarichi per nomina, non per elezione. L’idea stessa che una sentenza sottragga al voto chi altrimenti raccoglierebbe molti voti (perché se non lo votasse nessuno il problema non esisterebbe) ha un che di malato. In democrazia il diritto di votare per Tizio è sì quello dell’interessato di candidarsi, ma prima di tutto quello di tutti i Caio e Sempronio che si recano al seggio.

L’odierno dibattito sulla legge Severino è il trionfo del fallimento legislativo, il tripudio dell’azzeccagarbuglismo velenoso per la libertà e per la ricchezza, l’apogeo della legislazione improntata alle chiacchiere farlocche, al “lanciare messaggi”, al “segnalare orientamenti”. Chi segnala e lancia, all’evidenza, non ci capisce un accidente.

Pubblicato da Libero

Nessun commento: