venerdì 18 ottobre 2013

Ma Matteo Renzi è uno statista? Paolo Pillitteri



Il diavolo, come si sa, sta nei dettagli. E insieme a lui, spesso, troviamo la verità. Verità relativa, s’intende, poiché, essendo noi uomini di mondo, mai ci sogneremmo di trovarla, la verità, ancorché abbinata al diavolo. Il dettaglio renziano, dunque, non è di poco conto, ma vista la mole degli impegni e promesse che, almeno a parole, il sindaco di Firenze s’è accollato fin dalla prima discesa in campo contro Bersani (e relativi entusiasmi suscitati), il dettaglio dell’amnistia e dell’indulto diventa o diventerà la cartina di tornasole, il metro di paragone per la sua leadership.

Dettaglio, questo della clemenza per svuotare in parte le carceri più obbrobriose del mondo - e che Renzi rifiuta nettamente, rinviandola al mittente del Colle, perché diseducativa - che rivela, nella sua epifania più volte iterata, un sottofondo che non è soltanto di cinismo e di indifferenza, che non è soltanto di sotterfugio doppiogiochista rispetto a dichiarazioni di senso opposto - cioè di condivisione, anni fa, delle scelte di Marco Pannella - ma è anche e soprattutto un segnale, anzi “il” segnale di una secca diminutio della personalità renziana; un vero e proprio marchio della mediocrità politicante, il sigillo dell’imprevedibile modestia di un piccolo leader.

Cui è impossibile attribuire la definizione di statista. Perché? Perché è sui grandi temi come amnistia e indulto che si misura la metratura di altezza (o di bassezza) dei politici, anche e soprattutto perché un problema come questo non è di alto gradimento nell’auditel quotidiana che ogni mattina Renzi, ma non solo, corre a consultare, come Narciso nel lago. Ma Renzi, come vuole la nota vulgata, sarebbe il miglior fico del bigoncio mediatico-politico berlusconiano; ne deriva che il consenso dei sondaggi e la consultazione sistematica degli stessi onde tradurli in scelte conseguenti per ottenere ulteriori consensi (e così via all’infinito, sondaggio dopo sondaggio) è un obbligo. Anche a costo di contraddirsi.

Ebbene, seguendo il diagramma dei sondaggi su amnistia e indulto che mai, dico mai, sono stati favorevoli ai proponenti, Renzi ha compiuto una scelta che lo colloca al di sotto dell’ideale asticella dell’autentico capo. A dire la verità lo colloca fra gli altri contendenti (anche loro balbettanti dalla proposta del Quirinale) alla guida di un partito come il Pd che, ironia della sorte, fu con altre denominazioni, il paladino delle garanzie civili e giudiziarie.

Del resto, la conferma della deriva giustizialista del Pd sta nella sua voglia matta di voto palese per la decadenza di Berlusconi, una scelta oscena. Un altro scivolone in un risucchio della peggiore vocazione giacobina e manettara che contagiò Veltroni quando si “sposò” vergognosamente con Di Pietro, rifiutando la mano socialista e compiendo il primo passo verso il burrone dove l’attendevano la compagna di giro del cappio giudiziario di De Magistris, Ingroia ecc. E relativa sconfitta. Renzi non vuole ciò che solennemente ha proposto Napolitano alle Camere.

Il sospetto è che Renzi, una volta segretario del Pd, punti a votare il più presto possibile, insieme al partito dei giudici, a Grillo e a certi falchi svolazzanti nel Pdl, e prima che Letta si consolidi; e votare con lo stesso Porcellum che, a lui segretario del partito, gli garantirebbe nominati a iosa. Renzi teme che dicendo di sì all’amnistia-indulto, perda consensi nella platea di un Pd contaminato dal virus giustizialista e dall’odio per il Cavaliere. Per di più i sondaggi in merito sono negativi. Ma questo è esattamente ciò che un leader, uno che vuole guidare un Paese, non deve fare.

Ciò che deve fare non è il sondaggio alla stregua di un totem, ma se la scelta da compiere è giusta e meritevole di una battaglia in campo aperto. I veri leader politici del dopoguerra, da Saragat a Togliatti, da Nenni a Calamandrei a Einaudi, mai e poi mai si sarebbero sognati di sentire il polso (non c’erano allora i sondaggi) della gente per decidere o meno, a seconda dei battiti, di promuovere l’amnistia. E che amnistia.

Erano convinti che fosse necessaria per chiudere un’epoca di sangue, di odio e di morte; e aprirne una di convivenza civile e di rispetto reciproco. Ma loro, i padri della Patria, erano capaci di sfidare l’impopolarità come fanno gli uomini di Stato. Loro erano statisti. Oggi si può anche essere leader di un gruppo, di una corrente, di un partito. Ma non essere statisti. Capita. Anche a Renzi. (l'Opinione)

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