sabato 9 novembre 2013

Scajola: «Quante lacrime per quella casa al Colosseo». Marco Sarti

Dopo quasi un anno di silenzio Claudio Scajola torna al centro della scena politica. Si era fatto da parte dopo aver rifiutato una candidatura alle ultime elezioni. «E da allora non mi sono più interessato direttamente alle vicende del mio partito». A giudicare da quello che sta succedendo nel centrodestra, l’ex titolare dell’Interno sembra essere riapparso al momento giusto. Lo scorso 25 ottobre era a Palazzo Grazioli durante l’ufficio di Presidenza che ha archiviato per sempre la storia del Pdl. Confermando lo strappo tra lealisti e i governisti guidati da Alfano. «All’inizio Angelino non mi convinceva - ricorda oggi - Ma da quando è stato eletto segretario le mie perplessità sono aumentate».
Scajola racconta le sue vicende giudiziarie, a partire dalla nota casa di via del Fagutale (la sentenza è attesa a gennaio). «Non nego che mi è scappata una lacrima quando i testi dell’accusa, sfilando davanti al giudice, hanno smentito tutto quello che era uscito sui giornali». Ma parla anche del futuro. Se il Senato voterà la decadenza di Berlusconi, il Pdl ha il dovere di sfilarsi dalla maggioranza. «A quel punto sarà il Partito democratico a voler chiudere questa esperienza di governo». Con buona pace degli innovatori, anche i ministri dovranno adeguarsi. «Che fanno, restano al loro posto? Fare un passo indietro è difficile, lo dico io che mi sono dimesso due volte, ma non si entra al governo per investitura divina».

Dopo dieci mesi di assenza, Claudio Scajola rialza la testa. Perché ha deciso di tornare sulla scena politica?
Una piccola premessa. Quando in passato mi sono dimesso da ministro, l’ho sempre fatto per una motivazione fondamentale. Di fronte a una strumentalizzazione e un grande clamore, per rispetto nei confronti delle istituzioni ci si mette da parte. Perché non c’è chiarezza fino a quando tutti i dubbi non vengono dissipati. Ho fatto così quando mi sono dimesso da ministro dell’Interno nel 2002. E seguendo la stessa logica ho agito dieci anni dopo, quando è scoppiato il caso della famosa casa al Colosseo. Vede, di fronte a quella vicenda io non ho mai detto “a mia insaputa”. Dissi solo che non sapevo nulla di quello che veniva pubblicato sui giornali. Eppure mi sono dimesso da ministro anche in quella occasione.
Sempre per rispetto delle istituzioni…
E vuole sapere qual è la lezione che ho imparato? Che ormai in questo Paese un passo indietro equivale a un’ammissione di colpa. È molto triste, ma in Italia le dimissioni vengono percepite così. Ti fai da parte e ti trovi contro più gente di prima. Ecco perché recentemente ho suggerito al ministro Anna Maria Cancellieri di non dimettersi, altrimenti sarebbe stata travolta anche lei.
Quindi oggi non rifarebbe alcun passo indietro?
Di fronte a quella violenza mediatica non potevo reggere, non avrei svolto bene il mio compito. Perché vede, io sono determinato, deciso. A volte passo anche per essere un duro, ma se non sono sereno non posso lavorare bene.
Cosa resta oggi del procedimento sulla casa al Colosseo?
Quando è iniziata questa storia sembrava quasi che Scajola fosse il capo della cricca. Ma in pochi ricordano che a Perugia l’inchiesta è stata archiviata dopo un anno e mezzo e io non ho ricevuto nemmeno un avviso di garanzia. Ironico, non crede? Sono stato condannato sui giornali, ho espiato la mia pena dimettendomi da ministro, ma non ho mai ricevuto neppure un avviso di garanzia. Dopo tre mesi è stato riaperto un fascicolo a Roma, ma solo per finanziamento illecito. Sono andato a tutte le udienze, adesso siamo vicini alla fine. La sentenza dovrebbe arrivare nei primi giorni di gennaio.
Cosa si aspetta?
Vedremo come finirà. Ma non le nego che mi è scappata una lacrima, e non mi capita di frequente, quando i testi dell’accusa sono sfilati davanti al giudice e hanno detto tutto l’opposto di quello che era uscito sui giornali. Non ho mai dato assegni che non fossero miei, non ho mai ricevuto soldi.
Torniamo al Pdl. Il movimento che abbiamo conosciuto fino a questo momento è finito per sempre? È nato un partito diviso in correnti?
Spero proprio di no. Quando i grandi movimenti politici si sono trasformati in partiti di correnti organizzate sono stati sconfitti. È sempre stato così. Quando per eleggere i propri organi interni si usa il sistema proporzionale, è l’inizio della fine. Questo ovviamente non significa che in Forza Italia non debbano esserci luoghi di confronto.
Come il Consiglio nazionale del 16 novembre, dove però si rischia lo scontro.
Facciamo un passo indietro all’ultimo ufficio di Presidenza (del 25 ottobre scorso, ndr). L’organismo più importante del partito non veniva convocato dalla nascita del governo Letta. Su 24 componenti ci siamo presentati in 19. Mi ha molto colpito che a quella riunione fosse assente il segretario Alfano. Ma come fa il segretario di un partito, in questo caso anche vicepremier, a non partecipare? Per stare insieme ci vogliono le occasioni di confronto e dibattito. Angelino doveva partecipare, discutere. Magari poteva cercare di convincere gli altri delle sue opinioni. Ecco, quelle assenze hanno rappresentato il vulnus che ha accresciuto la diffidenza.
Ma lei è sempre stato convinto di Alfano segretario?
Se devo essere sincero non molto all’inizio. Lo incontrai una decina di giorni prima della sua elezione. Mi venne a trovare, ci teneva molto ad essere eletto all’unanimità. Alla fine mi convinse, anche se in seguito le mie perplessità sono aumentate. Il partito è andato indietro, si è ingessato. Durante la composizione delle liste elettorali alle ultime Politiche, poi, c’è stato un assoluto disprezzo nei confronti dei territori. Per carità, Angelino è ancora giovane. Ha avuto molto da Berlusconi, ma adesso dobbiamo metterci tutti in discussione. Insieme, azzeriamo e ripartiamo.
Lei viene annoverato tra i lealisti. Meglio, tra i falchi. È un ruolo in cui si ritrova?
Per natura non sono estremista né falco. Io apprezzo la lealtà. Intendiamoci, non la fedeltà dei cani, ma la chiarezza delle posizioni. Due anni fa, per superare una difficile situazione al governo, proposi al Cavaliere di dare vita a un gruppo parlamentare che volevo chiamare “Azzurri per la libertà con Berlusconi”. Lui mi chiese di non farlo, perché avremmo finito per ledere l’unità del partito. Ho obbedito. Ho fermato quel progetto per lealtà a Berlusconi, a cui dovevo tutto. Proprio quelli che allora mi accusavano di essere un traditore adesso avanzano la stessa proposta. Con una differenza: la loro richiesta arriva nel momento in cui il nostro leader è più debole. Ma perché devono uscire? Misuriamoci insieme. Mettiamo insieme novità ed esperienza e costruiamo un nuovo partito. Certo, non possiamo pensare di costruirlo sulla base di quello che è successo lo scorso 2 ottobre durante il voto di fiducia al governo Letta (quando il Cavaliere dopo un lungo braccio di ferro decise all’ultimo di sostenere l’esecutivo, ndr). È stata un’umiliazione pubblica che Silvio Berlusconi non meritava.
Sabato si andrà alla conta. Per evitare polemiche Roberto Formigoni ha proposto che il Consiglio nazionale voti con scrutinio segreto.
Secondo me quando predomina l’ipocrisia bisogna avere il coraggio delle proprie idee.
In Liguria vi siete contati tra lealisti e innovatori?
La Liguria è stata la prima regione a raccogliere le firme. Ho fatto girare il documento approvato dall’Ufficio di presidenza tra i 26 membri del Consiglio nazionale e in un giorno ho raccolto 20 adesioni.
Intanto per il Cavaliere si avvicina la decadenza dal Senato.
Sarò controcorrente, come sempre. Ma penso che uno dei danni della seconda Repubblica sia stata l’abolizione dell’immunità parlamentare. Non abbiamo assistito ad alcuna moralizzazione della politica, ma solo a uno squilibrio tra i poteri dello Stato. Nel caso specifico non ritengo giusta quella sentenza. Sono molto amico di Silvio Berlusconi, ma da ancora più tempo sono amico di Fedele Confalonieri. Eppure ancora mi chiedo come è possibile che in questo processo il presidente di Mediaset venga assolto e Berlusconi condannato. C’è qualcosa che non torna.
Quindi il Pdl è pronto a far cadere il governo?
Ma le pare normale che noi sosteniamo un governo il giorno in cui il nostro leader viene buttato fuori dal Parlamento? Berlusconi decade senza che sia stato fatto nulla: una azione, una riflessione, una pausa, un approfondimento. Evidentemente non siamo noi a far cadere Letta. È il Partito democratico che vuole chiudere questa esperienza di governo.
Davanti a una scelta così difficile il Pdl sarà unito?
Di fronte alla decadenza di Berlusconi i nostri ministri che fanno, restano al governo? Lo so, fare un passo indietro è difficile. E lo dico io che mi sono dimesso già due volte. Ma si diventa ministri dopo aver ricevuto un mandato, non per investitura divina.
Come giudica l’esecutivo fino a questo momento?
Nella storia c’è stato qualche governo di larghe intese, tutti hanno prodotto provvedimenti significativi. Stavolta mi sembra che siamo ancora fermi alle buone intenzioni.
Se si torna alla urne chi si candida al posto del Cavaliere?
Il primo errore è pensare che qualcuno possa sostituire Silvio Berlusconi. Un leader carismatico non si sostituisce. Credo che in questo Paese sia sempre più necessaria una riforma costituzionale di tipo presidenziale. Allora sì che potremo fare le primarie per eleggere il nostro candidato presidente. Non consultazioni fasulle come è avvenuto di recente, ma come in America. Con le iscrizioni ai registri delle primarie. Prima di allora se Berlusconi non potrà candidarsi, e sottolineo il se, come nostro leader avrà la possibilità di individuare un altro candidato. Lasciamo che sia lui a proporre un nome ed evitiamo autoinvestiture.

(Linkiesta)

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