giovedì 12 dicembre 2013

A la spagnola. Davide Giacalone


La Spagna ha passato due anni infernali, ma vede la ripresa come un fatto reale. Non un miraggio, come dalle nostre parti. Loro hanno fatto tre cose, che a noi sono mancate: a. il governo socialista ha alzato le mani, non hanno provato governi tecnici o figli del re, e le elezioni, fatte in piena crisi, hanno dato al centro destra la maggioranza per governare; b. hanno chiesto gli aiuti europei, messo in sicurezza le banche e concordato un piano di rientro dal deficit che non li ha inchiodati (debito ne avevano poco “prima”); c. hanno fatto riforme profonde e dolorose, ma le hanno fatte. Mariano Rajoy annuncia un calo della pressione fiscale, già nel 2014, abbassando le più alte aliquote sui redditi. Noi siamo ancora in pieno satanismo fiscale, con la punizione del risparmiatore e delle famiglie che posseggono case.

Enrico Letta va ripetendo che lo spread è, finalmente, molto basso. I giornali mettono tale dato nei titoli. Qui non siamo mai stati feticisti dello spread, ma almeno lo leggiamo nell’unico modo in cui ha senso farlo: guardando tutti gli altri. Così vediamo che sta crescendo quello dei francesi, ma tutti gli altri sono calati, per l’ovvia ragione che in tal senso ha agito la Banca centrale europea. Senza meriti di questo o quello. E vediamo la cosa più significativa: lo spread spagnolo è più basso di quello italiano, in ogni caso i due indicatori sono appaiati da lunghissimo tempo, il che è già una condanna per noi, visto che siamo economicamente più potenti e assai più affidabili come debitori. Che si festeggi a Roma, anziché a Madrid, è segno che i festanti sono stolti.

Anche l’indice del prodotto interno lordo va visto in parallelo con quello degli altri. Il nostro è crollato più di quello altrui ed erano anni che cresceva meno degli altri. Da noi si brinda perché dal segno meno s’è passati allo zero, ma gli spagnoli sono già in attivo. Ad appesantirci, nel passato, è stato il debito pubblico troppo alto e una spesa pubblica fuori controllo. Sono ancora lì.

Nelle esportazioni andiamo meglio degli spagnoli, crescendo significativamente anche dal 2011 a oggi (ne prendano nota, quelli che credono tutto dipenda dall’euro). Ma lo dobbiamo alla capacità delle imprese e al valore dei lavoratori, non a politiche pubbliche. Che non sono inesistenti, ci sono e sono negative, punitive e predatrici. Ci manca solo che a una potenza manifatturiera e trasformativa si tolgano anche materie prime alimentari provenienti dall’estero (ditelo al ministro dell’agricoltura), o si aumenti il costo dell’energia (ditelo a quelli che credono il cambio funzioni a senso unico), posto che già ha un accesso al credito più caro e più difficile. A tacere del fisco e della giustizia. Siamo andati bene perché gli italiani che ci lavorano sono bravissimi. Ma il risultato complessivo rimane negativo.

La Spagna non è ancora in zona di sicurezza. Molti problemi restano aperti e molte debolezze non rimediate. Hanno più disoccupati che da noi, anche perché noi ne nascondiamo molti sotto la voce cassa integrazione. Ma la ripresa promette di riassorbirne una parte, mentre da noi, nel 2014, i disoccupati cresceranno. Lo so che nessuno lo dice, ma temo sia così. Allora, posto che il disagio sociale esiste anche nella penisola iberica, come hanno fatto a far digerire riforme così dure? In due modi: avendo governanti capaci di spiegarne il perché, lo scopo e i tempi in cui dei risultati potranno vedersi (e già si vedono); e avendoli capaci di capire che c’era una cosa da fare, prima di ogni altra: colpire la classe politica. Quella che da noi, con orrido concetto, è chiamata la “casta”. Così hanno un sistema legislativo e politico nazionale che costa meno del 10% del nostro. E anche loro hanno il bicameralismo. Hanno un re che costa il 6% di quel che costa il nostro presidente della Repubblica.

Certo, sappiamo tutti che non sono quelli i soldi che fanno la differenza. Ma non la fanno nei bilanci, la fanno, invece, eccome, nella credibilità e affidabilità di chi governa. La fanno nel rendere accettabile quel che, altrimenti, non sarebbe accettato.

Detta in due parole: da quando è iniziata la crisi gli spagnoli non hanno avuto paura di ammetterla e non hanno perso tempo, sia votando che riformando, nonché utilizzando gli aiuti che l’Unione europea metteva a disposizione; noi abbiamo a lungo negato d’essere in crisi, abbiamo sprecato il tempo in cortilate e piccinerie politicanti, non abbiamo riformato altro che le pensioni e siamo andati in Europa a portare soldi del contribuente e prendere ordini, per poi tassarlo ancora di più. Che i risultati siano diversi, non dovrebbe stupire.

Pubblicato da Libero

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