domenica 29 dicembre 2013

Potere caotico di non decidere. Dario Di Vico


Perché nessuno in Senato si è alzato a ricordare che esiste una sentenza della Corte costituzionale, per la precisione la 22 del 2012, che giudica inammissibile l’introduzione di emendamenti eterogenei nel testo dei decreti legge?
La domanda è più che legittima anche perché alla Camera è dal ‘97 che vige questo regolamento senza che sia stato mai esteso all’altro ramo del Parlamento. La verità è che l’incredibile vicenda del decreto salva Roma, approvato dal Parlamento con richiesta di fiducia da parte del governo e poi bocciato dal Quirinale, ha lacerato molti veli davanti all’opinione pubblica. La debolezza del governo Letta è apparsa in tutta la sua gravità.
 
E l’inesperienza degli attuali presidenti delle Camere risulta addirittura certificata dal messaggio che ieri il presidente Giorgio Napolitano ha rivolto loro e al quale ha replicato in tarda serata Pietro Grasso. Ma forse l’evidenza sulla quale dovremmo concentrare l’attenzione riguarda il complesso delle istituzioni politiche, governo e Parlamento, che fin quando esistevano partiti forti riuscivano ad assolvere dignitosamente i loro compiti ma che oggi, in un quadro politico per molti aspetti liquido, appaiono fragili ed esposte a tutti i venti.

Può accadere così che in Parlamento le piccole lobby funzionino meglio delle grandi, quasi che nell’epoca dell’austerità sia quella la taglia ottimale per promuovere emendamenti di spesa. Succede che i nuovi membri della segreteria del Pd concentrino le loro energie per evitare che nel testo vengano infilati provvedimenti a favore di Firenze e perdano di vista altri temi caldi come gli affitti d’oro. Accade che i presentatori di pacchetti di emendamenti a Palazzo Madama, visti i numeri risicati della maggioranza, si sentano così spavaldi da poter condizionare il governo che non può fare a meno della loro presenza in Aula per strappare la fiducia.
Da questa piccola rassegna di anatomia delle istituzioni emerge chiaramente come il sistema politico-legislativo italiano sia imballato e i grandi processi decisionali passino quasi ormai esclusivamente dal Quirinale, dal Consiglio di Stato, dalla Corte dei conti e dalla magistratura ordinaria.
Nelle Camere è difficilissimo far approvare provvedimenti di riforma omogenei e l’escamotage è quello di agganciare vagoni alla sola locomotiva che comunque non può fermarsi, l’ex Finanziaria ribattezzata legge di Stabilità. Ma anche quando una misura approda in Gazzetta Ufficiale non ha ancora ultimato il suo incredibile viaggio. Prima di venir finanziata, prima che siano promulgati i regolamenti attuativi o semplicemente sia instradata deve passare le forche caudine rappresentate dal ministero dell’Economia e dalla Ragioneria generale. Secondo i dati elaborati dal Sole 24Ore, la percentuale di reale attuazione delle leggi fatte approvare dai governi Monti e Letta era ferma agli inizi di dicembre al 38%. Si combatte per farle passare e poi le si lasciano morire per strada.

La stessa noncuranza affligge la valutazione ex post dell’impatto dei nuovi provvedimenti. Spesso se ne approva uno nuovo prima ancora di sapere come abbia funzionato il precedente e quali conseguenze abbia determinato nella vita dei cittadini o delle imprese. Il caso degli esodati è da manuale ma, purtroppo, non è l’unico. Con queste premesse verrebbe da concludere che le riforme oltre a essere difficili sono quasi inutili e serve solo quel cacciavite, tipico strumento di manutenzione, che lo stesso Letta ha evocato nelle prime settimane del suo governo salvo non riuscire a utilizzarlo con la continuità necessaria. Ma arrendersi sarebbe un errore. Riforme e cacciavite servono entrambi e non a piccole dosi. Dobbiamo sbrigarci a intervenire sul nostro sistema politico-istituzionale perché rischiamo grosso: se le cose restassero così saremmo condannati a sommare gli svantaggi dell’instabilità politica a quelli della recessione o della bassa crescita. È con questi pensieri che ci accingeremo nei prossimi giorni a capire meglio e a raccontare quali misure saranno entrate nel nuovo Milleproroghe, l’animale legislativo che sembra avere la maggiore capacità di adattamento al caos parlamentare. Lo faremo senza indulgere al sensazionalismo, ma anche con il pessimismo di chi non riesce a vedere la spesa pubblica né messa sotto controllo né, tantomeno, tagliata.

(Corriere della Sera)


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