giovedì 2 gennaio 2014

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2 gennaio 2014

L’ordinanza del tribunale di Sorveglianza di Genova che nega l’affidamento ai servizi sociali a Francesco Gratteri, e stabilisce di fargli scontare la condanna, per i fatti della scuola Diaz, agli arresti domiciliari, si presta a più di una considerazione. Il giudice estensore, la dottoressa Verrina, è lo stesso magistrato del recente discutibile e sfortunato permesso, tramutatosi in evasione, per un serial killer. Lo ha già notato il Tempo e comunque non è forse la questione principale. La vicenda di Gratteri è di per sé significativa. Non era accusato di aver partecipato materialmente alle innegabili gravissime violenze commesse nella scuola genovese dalla polizia ma di averne agevolato la copertura attraverso un verbale che peraltro non porta la sua firma. Si tratta di un investigatore universalmente apprezzato per il suo lavoro contro la mafia. Fra l’altro è il poliziotto che ha arrestato Leoluca Bagarella. Ennesima conferma di un clima difficile fra investigatori di valore e magistrati. Valgano i casi del generale Mori e del capitano “Ultimo” o quello più recente del capo della squadra mobile napoletana Pisani. Seconda questione: nell’ordinanza, così come nella memoria della procura generale – rappresentata in udienza dal capo dell’ufficio, un fatto inusuale – si fa ampia citazione della giurisprudenza della Corte europea. Bene. Sarebbe auspicabile che i magistrati tenessero conto, almeno in futuro, di quella giurisprudenza anche a proposito dei tempi dei processi e delle condizioni dei detenuti. E infine, ma forse come nel “Letterman show” è “la numero uno”: i criteri con cui viene considerata la possibilità di affidamento ai servizi sociali sono espressi in linea generale e non promettono nulla di buono per un altro condannato definitivo più famoso del dottore Gratteri.
di Massimo Bordin@MassimoBordin

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