giovedì 29 maggio 2014

Nazareno europeo. Davide Giacalone


Nei risultati delle europee c’è di più, e c’è di meglio, di quel che sembra. Il Partito democratico ha vinto, ma in modo tale da chiudere per sempre la storia del fu Pci (evviva) e da dovere ridefinire la propria identità. Forza Italia ha perso, ma in modo tale da escludere che il problema sia organizzativo o comunicativo, bensì di sostanza e rappresentazione. L’Italia centra una quaterna fatale: a. il governo più votato in Ue; b. il Paese che manda al Parlamento europeo il più alto numero di anti-euro; c. il Pd primo gruppo nazionale nel Pse (come il Pdl lo era nel Ppe); d. FI con un gruppo europeo molto indebolito, ma pur sempre rilevante per la maggioranza Ppe. Da qui si riparte, con l’occhio rivolto all’Europa e alla pancia del Paese (non alla propria).

Dal punto di vista continentale il dato decisivo è quello francese, con il Fronte National, primo partito. Nella catena europea, e specialmente in quella dell’euro, la Francia è l’anello debole. L’idea di mettersi al riparo del governo tedesco, e a disposizione del loro cancelliere, già adottata da Nicolas Sarkozy e seguita da François Hollande, non ha protetto la Francia, ma l’ha sfasciata. L’ha infranta sulle paure e ha creato una reazione d’insensato nazionalismo (nelle condizioni in cui sono se si sganciassero, come chiede Le Pen, andrebbero alla rovina). Di questo non si potrà non tenere conto, per il futuro dell’Ue.

Se l’anello francese s’è dimostrato debole, quello italiano ne è uscito inaspettatamente rafforzato. Escluso che il risultato si debba ai successi (semmai alle promesse) del governo, come è potuto succedere? Ha giocato un ruolo decisivo la paura. Renzi ringrazi Grillo. Tutti hanno scritto che gli ortotteri hanno perso clamorosamente, in realtà hanno preso un quinto dei voti, che non è poco, ma hanno fallito l’assalto alla maggioranza. Anzi l’hanno fortificata: spaventando molti elettori li hanno spinti verso un voto di difesa e di conservazione, di continuità e avversità contro ogni avventura, e quel voto è stato raccolto non tanto dal Pd, quanto da Matteo Renzi. Attenti a non cadere nelle illusioni ottiche: non è il Pd che ha sfondato al centro, è il centro elettorale che ha sfondato il Pd, è l’elettorato ragionevole e posato che lo ha adottato come scudo.

Il centro destra, inoltre, ha favorito Renzi regalandogli la rappresentanza in esclusiva dell’europeismo ragionevole. Regalo assai generoso, considerato che l’Italia è il Paese più europeista d’Europa. Sta di fatto che alcuni pezzi del centro destra si erano esplicitamente schierati contro la moneta unica, mentre il partito più consistente, Forza Italia, aveva cincischiato sul tema, supponendo fosse impopolare difenderla. Ma gli elettori non sono poi così sprovveduti: un pensionato o un impiegato avvertono come un pericolo l’instabilità monetaria e l’inflazione, capace di spolpargli il reddito; rotture e uscite non sono vissute come liberazioni, ma come avventure; i vincoli europei possono essere fastidiosi, ma la dilapidazione nazionale è allegra solo per chi la incassa. Temi rilevanti, come l’immigrazione, sono stati agitati come spauracchi, ma del tutto privi di proposte risolutive (qui illustrate). Insomma, hanno concorso in molti a far paura ai moderati, che hanno visto in Renzi non il capo della sinistra, ma un giovane moderato dietro il quale ripararsi.

All’indomani delle elezioni si riparte dal Nazareno, inteso più come metodo che come contenuto (scarso). La quaterna, inoltre, propizia un Nazareno europeo: uniti si rende l’Italia decisiva, ponendola alla testa di forze che raccolgono anche la scassata Francia. Non si tratta di imporre lo sfondamento del 3% (deficit/pil), ma di ricominciare da dove i tedeschi, nel 2011, misero i bastoni fra le ruote europee: federalizzazione di una parte del debito; Banca centrale con pienezza di funzioni; fondi per investimenti produttivi. Più di questo l’Ue di oggi non è in grado di pensare. Meno di questo e va tutto in pezzi. Per l’Italia è l’occasione di chiudere un capitolo e di far valere i propri punti di forza, sui quali ossessivamente abbiamo insistito (avanzo primario, rapporto debito/patrimonio, crescita del debito dal 2009, aiuti a chi era in difficoltà, esportazioni, etc.). Sarebbe sciocco sprecarla solo per continuare a fare il gradasso, o solo per invidia della prestazione. Conviene a tutti i soggetti seri. Ed è anche l’unico modo per parlare a quegli elettori che hanno dimostrato (con saggezza) di saper fare la differenza.

Pubblicato da Libero

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