lunedì 21 luglio 2014

Una sentenza piena di conferme. Arturo Diaconale



L’inattesa sentenza di assoluzione per Silvio Berlusconi nel processo Ruby costituisce la rassicurante conferma dell’esistenza di un giudice a Berlino anche nel sistema giudiziario italiano. Non si tratta di una conferma da poco. Perché rappresenta la dimostrazione più clamorosa e tangibile che, a dispetto di tutte le anomalie, di tutte le degenerazioni e di ogni genere di difficoltà e carenze, la giustizia italiana non è in coma irreversibile ma è ancora in grado di rigenerare se stessa. Il dato incoraggiante di sapere che il sistema giudiziario nazionale è capace di produrre giustizia giusta, non può cancellare la seconda conferma che viene dalla sentenza di assoluzione per il Cavaliere emessa dalla Corte di Appello di Milano.

Il ribaltamento totale della durissima sentenza di condanna a sette anni del primo grado sulla base delle considerazioni tecniche esposte dalla difesa del professor Coppi, rappresenta l’implicita e clamorosa dimostrazione della motivazione esclusivamente politica del giudizio di partenza. L’assoluzione per le ragioni tecniche che hanno smontato l’impianto dell’accusa costituisce la prova provata della persecuzione giudiziaria di cui è stato oggetto Berlusconi per il caso Ruby. Una persecuzione che è durata anni e che ha prodotto non solo una gogna mediatica infinita ai danni dell’immagine di un personaggio di rilievo pubblico nazionale e internazionale, ma anche una serie di pesanti conseguenze per l’area politica di cui il Cavaliere è stato – e rimane – leader e per il Paese di cui è stato per anni rappresentante.

La persecuzione testimoniata dall’assoluzione ha toccato sia Berlusconi che l’intera società italiana. Quest’ultima ha subito – e continua a subire – le ripercussioni devastanti dei pregiudizi ideologici di alcuni magistrati e le irresponsabili speculazioni politiche dei nemici viscerali dell’ex presidente del Consiglio. La giustizia italiana, dunque, per un verso esce rinfrancata dalla sentenza milanese ma per l’altro risulta colpita da un male, quello non solo della politicizzazione che ha colpito Berlusconi ma soprattutto della totale inaffidabilità che colpisce l’intera società nazionale, da estirpare al più presto e a ogni costo se si vuole salvare il Paese dalla rovina definitiva. Per ridare ai cittadini la fiducia in una giustizia che al momento risulta quasi sempre incerta e quindi quasi sempre ingiusta, non c’è altra strada che insistere nella battaglia per una riforma integrale del sistema giudiziario nazionale. Una riforma che non può essere quella evanescente e indeterminata indicata da Matteo Renzi. Ma che deve essere quella per una vera giustizia giusta che da anni viene sostenuta dai radicali, dai liberali e da tutti quelli che credono nello Stato di diritto fondato sulle garanzie e sui diritti inalienabili dei cittadini.

La sentenza di Milano indica che questa battaglia è sacrosanta e alimenta la speranza di poterla portare avanti con successo, perché consente al simbolo della persecuzione giudiziaria di tornare a battersi da protagonista sulla scena politica italiana. Chi auspicava una seconda condanna di Berlusconi per trasformarla nella lapide sotto cui seppellire definitivamente il leader del centrodestra scopre oggi che aveva fatto male i propri calcoli. Non c’è lapide e non c’è tomba. C’è un Cav. rigenerato e rilanciato. Che può giocare ancora una grande partita per le riforme e per la ricomposizione del centrodestra alternativo alla sinistra.

(l'Opinione)

 

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