mercoledì 16 settembre 2015

Triciclo migrante. Davide Giacalone

           

L’accordo europeo su come gestire il tema delle migrazioni, distinguendo e adottando politiche necessariamente diverse per profughi e migranti economici, non s’è raggiunto. Ma così come è disegnato non potrebbe comunque funzionare. L’architettura cui si tende, illustrata dal ministro degli interni, Angelino Alfano, in una intervista a Rtl 102.5, si regge su tre pilastri: 1. hot spot per l’identificazione; 2. quote obbligatorie di ripartizione (per quelli cui viene concesso asilo); 3. respingimenti a cura e spese dell’Unione europea. Non può funzionare perché il primo pilastro è troppo fragile, mentre gli altri due non ci sono ancora.

Lasciamo da un canto la sfasatura temporale e ammettiamo che il triciclo parta con tutte e tre le ruote. In caso contrario non parte e stiamo parlando del nulla. La denominazione “hot spot” (punto caldo), mutuata dalla telematica, presuppone l’esistenza di una rete, a sua volta capace di connessioni che portino a destinazione messaggi e persone. Non solo non c’è, ma se quei punti restano nel dominio e nella responsabilità di autorità nazionali è evidente che possono funzionare solo per quanti vengono ammessi, mentre i respinti presenteranno ricorso. Come è loro diritto. Impedirlo, con una legislazione speciale, comporta enormi complicazioni legali e va incontro a pressoché certa bocciatura costituzionale. Una volta che presentano ricorso partono i tempi dei diversi gradi di giudizio, restando gli interessati nel limbo del riconoscimento, o meno, della loro natura di rifugiati. Nessun centro di raccolta è in grado di amministrarli e contenerli così a lungo. Intanto questo scarica sul Paese di frontiera tensioni ingovernabili, tenuto presente che non ci sono solo i costi economici, ma anche quelli umani. Per esemplificazioni vedi alla voce Cie, centri di identificazione ed espulsione, creati nel 1998. Non aggiungo altro.

Tale architettura rispecchia l’errore commesso dai tedeschi: supporre che si possano fare scelte d’accoglienza senza essere direttamente coinvolti nell’amministrazione delle frontiere esterne. Attenzione: i tedeschi non si sono rimangiati la loro decisione, ma si sono accorti d’avere sollevato uno tsunami umano, destinato ad infrangersi sui loro centri d’accoglienza, a loro volta destinati a esplodere. Ben venuti in questo inferno. Allora provano a scaricarne la responsabilità su altri, conservando a sé la parte dell’apertura. Non è buono o cattivo, umano o disumano, lungimirante o miope, è solo e soltanto un errore enorme.

Per rimediare deve essere europeo il primo pilastro, il che aiuterebbe a rendere non effimeri gli altri due. Il lavoro negli hot spot deve essere fatto da autorità dell’Unione, sulla base di un diritto che non è quello nazionale del Paese in cui ci si trova. Lo ripetiamo da tempo: serve extraterritorialità. Troppo facile (e inutile) dire: lo faremo quando creeremo campi di raccolta fuori dall’Ue, in prossimità delle zone da cui i migranti provengono. Vasto e futuribile programma, realizzabile solo se si usa la forza e, comunque, fra troppo tempo. Intanto non si può stare con frontiere interne permeabili e frontiere esterne la cui impermeabilità alternata sia affare solo di chi se le trova in casa.

Il triciclo immaginato, al vertice di lunedì, ha la ruota davanti quadrata. Anche ammesso che arrivino le due posteriori, non va da nessuna parte. Escluso (spero) che siano così sciocchi da non avvedersene, ne deriva che non avevano altro da raccontare che una favola futuribile. Peccato che questo, come l’azzardo tedesco, contribuisce a muovere moltitudini, che spostandosi seminano morti. E che l’affogato sia un bimbo profugo o un bimbo migrante non sposta di un capello la responsabilità morale e politica di chi non sia all’altezza del dramma.
Davide Giacalone
www.davidegiacalone.it
@DavideGiac

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